Craig Federighi ed altri dirigenti Apple parlano dei Mac con M1 (e lasciano uno spiraglio aperto a Windows)

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Una settimana tra le più entusiasmanti degli ultimi anni nel mondo Apple, in un anno che di suo è stato tutt’altro che entusiasmante. Stiamo continuando la nostra conoscenza dei nuovi Mac con SoC M1, per coglierne tutti i segreti, spremerli fino in fondo e provare a capire cosa ci riserverà il futuro. Intanto, anche la dirigenza Apple sta aprendo al pubblico dettagli non svelati nell’ultimo evento, e in questo contesto s’inserisce l’interessante intervista che Craig Federighi, Greg Joswiak e Johny Srouji hanno concesso ad Ars Technica.

Nel riportarne i punti salienti, seguiremo solo parzialmente l’ordine dell’articolo originale, dal momento che alcuni punti piazzati anche lontani tra loro sono meritevoli di essere tra loro uniti nella stessa parte. L’inizio, prevedibile, verte sul perché della transizione: viene rimarcato da tutti e tre come il Mac sia tra i perni di Apple e che i SoC Silicon permettono di creare i migliori Mac mai fatti. Le difficoltà di Intel negli ultimi anni, tuttavia, non sarebbero state la ragione principale dello switch, bensì il fatto che si sentivano in grado di fare ciò che hanno fatto, forti della massima integrazione col software e con la flessibilità di stabilire totalmente in proprio la roadmap. Una decisione presa parecchi anni fa e di cui inizialmente ne furono informati solo pochi, che mostrarono subito entusiasmo ed ottimismo. I primi Mac con SoC interni erano dei MacBook Air modificati con schede logiche prototipo, l’inizio di una lunga strada che non è stata sempre dritta. L’esperienza degli ingegneri Apple e la fiducia attorno al progetto hanno però premiato gli sforzi.

La già citata integrazione tra hardware e software è stata fondamentale per la buona riuscita, testimoniata dalle frequenti riunioni tra Federighi e Srouji durante la fase progettuale della microarchitettura dedicata, che per quanto imparentata tecnicamente con A14 i dirigenti Apple hanno sostenuto essere specifica per Mac, sviluppata analizzando tutti i vari aspetti di cui tenere conto su prodotti molto diversi da iPhone e iPad: i carichi lavorativi, le elaborazioni più complesse, il supporto a periferiche e standard come Thunderbolt, la virtualizzazione. La memoria unificata è tra i punti fondamentali degli M1 e di tutti i SoC che seguiranno, permettendo l’accesso a tutti i componenti del chip, contrariamente a ciò che accade nel mondo x86 dove c’è una lottizzazione tra la RAM riservata alla CPU e quella per la GPU integrata. Questa condivisione della memoria consente anche di rendere più efficienti quei trasferimenti di dati da elaborare tra i vari componenti che sulle piattaforme tradizionali presentano dei colli di bottiglia nelle esecuzioni a lungo termine; a ciò si aggiungono poi altri tocchi di ottimizzazione, come quelli nelle API Metal.

Incalzati sul rapporto tra MacBook Air e Pro con M1, capaci di offrire prestazioni molto simili ma dotati di sistemi di raffreddamento differenti, Srouji ha ricordato le elevate performance per watt già illustrate durante l’ultimo evento, confermando come il SoC M1 si adatti a vari form factor e profili energetici. La potenza di picco che può essere sfoderata dai due dispositivi è pressoché identica, ma la dissipazione attiva del MacBook Pro offre chiaramente un vantaggio nel sostenere elaborazioni prolungate, mentre invece l’Air privo di ventola ad un certo punto è costretto ad abbassare il profilo operativo per raffreddarsi.

Una piattaforma di lancio che sta dimostrando alte performance, con ottime prospettive per il futuro. A tal proposito, i tre dirigenti mantengono le bocche cucite sui prossimi sviluppi (anche sull’assenza corrente di opzioni come quantitativi maggiori di RAM e più porte Thunderbolt), limitandosi solo ad invitare al giudizio dei risultati già ottenuti per potersi immaginare quanto ancor più ci aspetti all’orizzonte. Non sorprende il no categorico riguardo a Mac più economici, ora che si può godere del risparmio di non acquistare più processori da Intel (anche se i nuovi arrivati hanno effettivamente prezzi inferiori rispetto ai modelli sostituiti): come ricordato da Joswiak, l’obiettivo di Apple è creare i migliori prodotti e questo mal si concilia col risparmio.

Riguardo al software, vengono citati tra i perni fondamentali Rosetta 2 e le Universal Apps, ma anche il supporto alle applicazioni per iOS, un vantaggio esclusivo portato da M1 rispetto ai precedenti Mac con Intel. Federighi sostiene come circa il 90% delle app mobile sia in grado di operare egregiamente sui nuovi modelli, con la restante percentuale che resta esclusa a causa dell’assenza di componenti specifici degli iDevice, come il giroscopio. Apple effettua dei test automatici sulle app iOS, al fine di valutare la loro potenziale resa su macOS: quelle che non soddisfano i requisiti restano fuori dal Mac App Store. Per le applicazioni più importanti è prevista anche una verifica a mano, che se superata si traduce anche in una presentazione sullo Store leggermente diversa da quelle sottoposte alle prove automatizzate. Viene poi per completezza ricordata la completa facoltà per gli sviluppatori di decidere se rendere disponibili o no le loro app iOS anche sui Mac con M1, con la possibilità di cambiare idea in qualsiasi momento.

Per quel che concerne l’esecuzione di altri sistemi operativi, da Apple continuano a puntare soprattutto sulla virtualizzazione e sulla possibilità di utilizzare le versioni ARM di Linux; per la questione Windows, l’orientamento ufficiale è sulle istanze virtuali nel cloud e l’uso di emulazioni come CrossOver. Detto questo, Federighi lancia un ramoscello d’ulivo a chi desidererebbe il ritorno di Boot Camp o auspica quantomeno nel poter virtualizzare il sistema operativo Microsoft. A detta di Federighi, la palla è tutta nel campo di Redmond, dal momento che il SoC M1 sarebbe tranquillamente in grado di eseguire la variante ARM di Windows 10 (non saremmo stupiti se avessero fatto delle prove interne, se le community sono state in grado di far girare Windows completo su Raspberry, figurarsi gli ingegneri nei laboratori di Cupertino). L’ostacolo risiederebbe solo nella mancata vendita libera delle licenze, come invece avviene per le classiche edizioni x86.

In conclusione, si guarda al destino dei Mac con processori Intel, con una buona parte che resta tuttora in vendita e gli ultimi che lasceranno gli scaffali solo nel 2022. Nulla da temere, rassicurano dalla mela: continueranno a godere di aggiornamenti per molti anni ancora, anche perché proprio come le app (e come avvenne pure nella precedente transizione da PowerPC ad Intel) lo stesso macOS è sviluppato in modalità Universal, col supporto ad entrambe le architetture. Ciò che non vedremo più, invece, saranno nuovi modelli dotati delle CPU di Santa Clara, destinati man mano ad essere sostituiti da altri Mac con M1 e derivati ancor più potenti.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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