Sugli alberi e tra i rovi: microspie ovunque per incastrare i boss

Sugli alberi e tra i rovi: microspie ovunque per incastrare i boss

Così sono stati stanati i nuovi capimafia nella zona di Brancaccio. Quella "soffiata" inutile

PALERMO – C’è un terreno alle spalle di Corso dei Mille, a Palermo. Nascosto e pieno di sterpaglie, ma con diversi punti di accesso. Queste caratteristiche lo hanno reso il luogo ideale per le riunioni dei boss della famiglia mafiosa di Roccella, mandamento di Brancaccio.

L’uomo arrivò in bici

I partecipanti arrivavano uno dopo l’altro agli appuntamenti. Uno dei primi ad essere pedinato è stato Giovanni Di Lisciandro, considerato l’uomo del pizzo. Una mattina giunse a bordo di una bicicletta. Quindi imboccò a piedi una stradina privata di campagna, ad una manciata di metri da via Chiavarelli.

Credeva, come gli altri, di essere al sicuro ed invece i poliziotti della squadra mobile sono stati capaci di piazzare le microspie persino in quel terreno abbandonato. E così sono state captate le conversazioni, oltre che di Di Lisciandro, anche di Stefano Nolano, Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede, considerato la mente della famiglia mafiosa. Sono stati tutti arrestati nell’ultimo blitz della Direzione distrettuale antimafia di Palermo.

Microspie sull’albero di limoni

Le microspie sono state denominate “albero 1“, “pietra“, “sterpaglia“, “albero limone“: non erano nomi in codice ma il riferimento alla reale collocazione delle cimici. Nei nastri magnetici sono rimaste impresse le discussioni sul pizzo da imporre, sui ruoli dei nuovi boss , sui detenuti ergastolani da mantenere in carcere. Si sentivano al sicuro tra le sterpaglie, convinti di non essere intercettati.

Un giorno scoppiò il panico

Si sbagliavano e un giorno scoppiò il panico. Qualcuno li aveva avvisati che sul tetto di un immobile vicino “c’è l’inferno là sopra”. Telecamere e microspie ovunque. Una preziosa soffiata che agli uomini del clan sarebbe arrivata dal dipendente di una società di sicurezza privata. La stessa informazione era arrivata alle orecchie di Antonio Lo Nigro, uno degli scarcerati eccellenti della Cosa Nostra palermitana.

“Comunque qua è l’ultima volta che ci vediamo… basta qua… basta qua basta”, diceva Di Lisciandro. Cambiarono luogo di incontro. Troppo tardi, però. Ormai le cimici avevano registrato abbastanza dialoghi per inchiodarli.


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