Rifiuti e tangenti, imprenditore accusa: soldi nella Maserati

Rifiuti e tangenti, imprenditore accusa: soldi nella Maserati

Una tangente accertata, altre da ricostruire. Un'inchiesta che parte da Palermo e arriva fino a Catania

PALERMO – Una tangente accertata, altre da ricostruire. Un’inchiesta che parte da Palermo e arriva fino a Catania. Un imprenditore che aiuta gli investigatori e che viene giudicato credibile.

Le condanne

Lo scorso maggio sono stati condannati per corruzione a quattro anni ciascuno di carcere Emanuele Gaetano Caruso, 53 anni, originario di Paternò, imprenditore nel settore dei rifiuti, e la compagna Daniela Pisasale, 45 anni di Siracusa, rappresentante della Realizzazioni e Montaggi srl ed amministratore unico della Ecoambiente Italia srl entrambe con sede a Siracusa.

La busta con la tangente

I due imprenditori furono sorpresi il 6 agosto 2020 dagli agenti della Dia mentre consegnavano una tangente di cinquemila euro dentro una busta a Vincenzo Bonanno, coordinatore tecnico dell’area discarica di Bellolampo, gestita dalla Rap. Bonanno viene giudicato in un processo a parte celebrato con il rito ordinario. Pisasale aveva nella borsa un’altra busta con 13.250 euro.

Secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo e Claudia Ferrari, c’era un patto corruttivo fra gli imprenditori e Bonanno che avrebbe messo a disposizione “i propri poteri per monitorare e caldeggiare le procedure che interessavano alla Eco Ambiente di Caruso”. Accelerazione nei pagamenti delle fatture e affidamenti diretti di smaltimento rifiuti in caso di emergenza sarebbero stati i favori resi da Bonanno.

L’incontro inedito

Agli atti dell’inchiesta c’è un episodio precedente (“Spiati dentro il bar”) e finora inedito, riportato nelle motivazioni della sentenza di condanna. Gli agenti hanno monitorato nel maggio 2020 un incontro iniziato nel negozio di una grande firma della moda a Palermo e proseguito in un bar (GUARDA LE FOTO). Anche stavolta ci fu lo scambio di una busta, ma gli agenti preferirono solo monitorare la situazione e intervenire nel successivo mese di agosto.

L’inchiesta va avanti

Il processo si è concluso con la condanna dei due imprenditori, ma l’inchiesta non è chiusa. Sul suo conto corrente bancario Bonanno aveva canalizzato lo stipendio pagato da Rap. Ma ci sono altri versamenti in contanti: dall’1 gennaio 2017 al 25 giugno 2020 ammontano a 90.950 euro. Cinque versamenti, per un totale che supera i 13 mila euro, sono stati eseguiti poco dopo gli incontri con Pisasale e Caruso, ricostruiti attraverso le chat dei protagonisti (Leggi: “Le chat bollenti degli indagati”). E gli altri soldi?

Un testimone attendibile

E qui entra in gioco un testimone negli uffici della Dia per accusare Caruso, Pisasale e Bonanno. I due imprenditori, a suo dire, avrebbero “acquisito una posizione dominante nel settore dei rifiuti in Sicilia grazie al sistematico ricorso alla corruzione di pubblici ufficiali. Egli ha anche descritto alcuni incontri, ai quali era stato presente, nel corso dei quali, secondo il dichiarante, erano avvenute cessioni di denaro”.

Credibile nonostante i rancori

Scalia è stato il fondatore della Eco Ambiente Italia srl insieme al padre Vincenzo. Agli investigatori ha raccontato che era stato estromesso dalla società e costretto a cederla a Pisasale. Dunque è lecito ipotizzare che Scalia sia stato mosso da motivi di risentimento. Potrebbe avere cercato di vendicarsi.

Il punto è che il giudice Marco Gaeta, che ha condannato Caruso e Pisasale, lo ritiene credibile. Uno degli episodi da lui ricostruiti è sovrapponibile per luogo e modus operandi a quello del maggio 2020. Due anni prima, a Natale 2018, Bonanno e i due imprenditori si sarebbero incontrati nei pressi del negozio Louis Vuitton in via Libertà a Palermo.

Una busta nella Maserati

Ad un certo punto Caruso, si sarebbe allontanato con Bonanno verso la propria macchina, una Maserati Levante di colore blu. Nonostante l’invito della Pisasale a non soffermarsi sui movimenti di Caruso e Bonanno, Scalia era riuscito a vedere che dal portabagagli dell’auto Caruso aveva prelevato e consegnato al dipendente della Rap un liquore, una cassetta di arance e una busta. Ed è ora che Scalia avrebbe chiesto alla donna: ”Quanto vi deve costare tutta questa operazione”. Ricevendone più che una risposta, una conferma: “Assai, assai”.

Scalia si è rivolto agli investigatori per fare dichiarazioni spontanee dopo avere ricevuto un avviso di conclusione
delle indagini preliminari nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Catania avviata nel 2016. Quindi le sue parole potrebbero essere confluite anche in quel fascicolo.

Filo rosso delle tangenti

Secondo il giudice di Palermo, i fatti accertati, “verosimilmente costituiscono un anello di un più esteso sistema corruttivo”. Ed è su questo che continuano a indagare in Procura a Palermo. C’è un filo rosso delle tangenti che legherebbe uomini e vicende solo apparentemente slegati fra loro.

Fino al 31 maggio 2019 Eco Ambiente ha gestito un impianto di trattamento dei rifiuti nella discarica di Bellolampo dietro autorizzazione della Regione. Quando scoppiò lo scandalo dell’inchiesta il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, rivendicò di avere messo Eco Ambiente alla porta. Bonanno aveva un ruolo chiave nella discarica: gestiva gli ingressi e le uscite dei rifiuti da trasferire ad Alcamo. Nella città trapanese c’era il “sito di trasferenza” della Vincenzo D’Angelo srl dove la Eco Ambiente aveva piazzato un impianto mobile per il trattamento dei rifiuti indifferenziati prima del conferimento in discarica. La “Vincenzo D’Angelo” aveva chiesto a inizio 2020 il via libera all’ampliamento, ma alla Regione avevano scoperto delle irregolarità nel rilascio dell’autorizzazione del 2017. E così l’assessorato ha varato una commissione d’inchiesta sulle autorizzazioni rilasciate a tutti gli impianti di rifiuti in Sicilia.

“Altri funzionari corrotti”

Il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Claudia Ferrari e Gianluca De Leo ritengono che il caso di Bonanno non sia isolato. Altri pubblici funzionari sarebbero stati corrotti. Al servizio “Autorizzazioni impianti gestione rifiuti” dell’assessorato regionale alle Energia lavorava il funzionario regionale Marcello Asciutto, anche lui finito nei guai giudiziari e ora sotto processo: avrebbe intascato una tangente per agevolare le pratiche di Vito Nicastri, imprenditore trapanese a cui è stato confiscato un impero economico per il suo legame con la famiglia mafiosa di Matteo Messina Denaro. Su Asciutto indagano gli stessi pm che seguono processi e su Bonanno e Vito Nicastri.


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