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Csm: si candida Bisogni, il pm che denunciò il sistema Siracusa

Il sostituto procuratore della Dda di Catania partecipa alle primarie di Unicost.
L'INTERVISTA
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8 min di lettura

CATANIA – Marco Bisogni ha deciso di candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. E lo fa partecipando alle primarie di Unità per la Costituzione. Il sostituto procuratore della Dda di Catania vorrebbe cambiare il sistema dall’interno. Il magistrato romano è stato tra i primi a denunciare quanto accadeva all’interno del palazzo di giustizia di Siracusa sotto la ‘regia’ dell’avvocato Piero Amara. Bisogni ha vissuto sulla propria pelle le storture – o come le definisce lui ‘le incrostazioni’ – nel mondo della magistratura nel rapporto con i ‘poteri’. Ma è anche convinto che quella commistione è emersa grazie alla magistratura stessa. Negli anni difficili a Siracusa Marco Bisogni alcune volte ha pensato che l’epilogo potesse essere diverso. Ma è stata anche quell’esperienza a far sentire forte la voglia di poter dare il proprio contributo. Da qui la scelta di mettersi in gioco.

Dottor Bisogni, chi glielo ha fatto fare?
Fare cosa? (ride).

Candidarsi al Csm.
Chi me lo ha fatto fare? In realtà l’idea è che l’autogoverno faccia parte del dovere di ognuno di noi magistrati. Ritengo quindi che in presenza di certe situazioni dobbiamo partecipare un po’ tutti. Ognuno portando le proprie esperienze.

Non pensa che le sue ‘esperienze’ passate potrebbero portare a strumentalizzare la sua candidatura?
Spero proprio di no. Questa candidatura avviene a distanza di tempo, quando ormai le diverse situazioni processuali collegate al caso Siracusa sono (quasi) tutte esaurite. Se mi fossi candidato alle scorse elezioni, forse sarebbe potuto succedere ma, come dicevo, le vicende principali sono chiuse e non ho più “conti aperti”. Sono convinto che non ci sia nulla di strumentalizzabile. 

Non le mancherà il lavoro di investigatore se dovesse conquistare un posto al Consiglio Superiore della Magistratura?
Moltissimo. Ma penso che questa dovrebbe essere una parentesi. Il problema vero è che a volte si pensa che il Csm sia un punto di arrivo, invece a me piace pensare che sia una parentesi al servizio dei colleghi magistrati e poi si torna a fare quello che si faceva prima. 

Questa candidatura nasce dalla voglia di cambiare il sistema dall’interno?
L’idea sarebbe quella. Se no non avrebbe molto senso.

Unicost ha vissuto più di tutti gli effetti dello scandalo Palamara. Però l’ha ritenuta l’associazione giusta per la sua candidatura.
Io credo che non ci sia un problema di giusto e non giusto. Penso che in tutte le organizzazioni complesse la gestione della cosa pubblica passa attraverso l’aggregazione delle idee che viene naturalmente veicolata da gruppi di persone che hanno un comune sentire. È, però, palese che la trasformazione dei gruppi associati in correnti nel senso deteriore del termine abbia creato grossi danni alla magistratura in quanto tale. Penso che debba essere quindi reinterpretato il nostro modo di stare insieme. Unicost dopo i fatti che sono accaduti ha fatto un percorso di rifondazione, ha introdotto incompatibilità, ha introdotto le primarie per la selezione dei candidati, ha cambiato la classe dirigente ed ha delegato le decisioni principali agli organi assembleari. Quindi per rispondere alla sua domanda non so se sia l’associazione “giusta” in assoluto,  ma è quella  attraverso la quale ritengo si possa provare a cambiare l’approccio al nostro Autogoverno anche perché credo che il fallimento definitivo dell’associazionismo giudiziario e dei gruppi associativi (che sono l’antidoto che salvaguarda l’ANM dall’infiltrazione di lobby e centri di interesse non riconoscibili ) costituirebbe il fallimento anche della parte sana della magistratura così come l’abbiamo conosciuta in questi anni.

È stato favorevole allo sciopero del 16 maggio della magistratura?
Si, è stato uno sciopero di testimonianza. È stato uno sciopero contro una riforma che non eliminerà le problematiche che hanno contribuito a causare la crisi dell’autogoverno. 

Cioè?
Inserisce nella nostra struttura la tendenza verso un conformismo giudiziario. Enfatizza la gerarchizzazione, divide le carriere. Aumenterà la spinta verso la raccolta di incarichi e titoli nel corso della nostra attività, ovvero proprio quello che ha poi portato alla degenerazione del sistema. 

Secondo lei questa Riforma porterà una nuova degenerazione a livello di ‘poltrone’ e carrierismo?
Io spero di no, ma è anche vero che la riforma aumenta l’importanza del ruolo dei direttivi e semidirettivi e della gerarchia all’interno della magistratura. Secondo me si doveva andare verso un’altra direzione.

Quale?
Sdrammatizzare il concetto di carriera e tornare a rendere importante il lavoro che facciamo tutti i giorni prescindendo poi dagli incarichi che ognuno di noi può ambire a ricoprire. Il ritorno ad un potere giudiziario realmente diffuso è, infatti, l’antidoto più efficace per ridurre le ambizioni improprie che hanno inquinato la magistratura. 

Nonostante Siracusa. Nonostante Palamara, Nonostante tutto. Lei continua a credere nei valori della toga? Lei ha visto tante facce sporche all’interno di un mondo come quello della magistratura che – almeno sulla carta – dovrebbe essere immune a certe dinamiche. 
Io distinguerei però nettamente le due situazioni.

Partiamo da Siracusa.
Siracusa per me è, paradossalmente, l’emblema di come la magistratura ancora funzioni. Mi spiego meglio: è l’emblema di come rispetto a situazioni di enorme degenerazione anche interna ci siano stati all’interno della magistratura professionalità, coraggio e voglia di fare emergere quelle incrostazioni che poi sono sotto gli occhi di tutti. Il “sistema Siracusa” è esploso grazie a magistrati che hanno fatto il loro dovere rischiando sulla loro pelle. 

Però al processo di Messina solo lei si è costituito parte civile.
Ma la costituzione di parte civile non vuol dire nulla dal punto di vista della capacità di reazione dei singoli magistrati. Anzi io mi sono potuto costituire parte civile perché non gestivo più quei processi e non lavoravo più a Siracusa. I colleghi che non si sono costituiti l’hanno fatto verosimilmente per non dare vita ad incompatibilità nella gestione di indagini e processi.  

Quando è scoppiato il caso Palamara cosa ha pensato? Ha mai letto le famose chat?
Non mi sono molto appassionato alla lettura delle chat di Palamara per il quale deve valere, come per tutti, la presunzione di innocenza. Credo poi che – al di là di quello che ha una rilevanza penale, disciplinare o deontologica e la cui valutazione deve essere giustamente rimessa nelle sedi opportune – sulle chat si sia fatto moltissimo gossip giudiziario con la pubblicazione e diffusione incontrollata anche di brani e messaggi di natura riservata e personale. 

Che idea ha del giornalismo?
Del giornalismo penso quello che penso di tutte le altre professioni. Se il giornalismo è fatto in modo serio e rigoroso merita il nostro apprezzamento e la nostra riconoscenza perché ha un ruolo centrale nel garantire trasparenza e conoscibilità anche del nostro sistema. Ha poi un ruolo fondamentale nel contrasto alle mafie e alle organizzazioni criminali perché contribuisce in modo decisivo alla formazione e diffusione della cultura della legalità. 

Se dovesse arrivare al traguardo, una volta seduto al Csm quali sono le priorità che vuole scardinare di questo sistema?
A me piacerebbe che si smettesse di scegliere secondo appartenenza e si valutassero cose e persone secondo merito. Mi piacerebbe che si ragionasse con più democrazia e partecipazione nel governo degli uffici specie quelli requirenti. Mi piacerebbe che cominciassimo a valutare la qualità del lavoro che svolgiamo e non tanto la quantità, che in questo momento invece sembra essere l’unico parametro che interessa. 

Non si sente un po’ sognatore e idealista?
Non spetta a me dare questi aggettivi su me stesso. Io penso che comunque ci siano tantissimi magistrati che sentono il ‘peso’ della toga e di quello che rappresenta. Io penso che la narrazione che è stata fatta in questi anni non restituisca la realtà della magistratura. È piena di gente che ci crede e che tutti i giorni va in ufficio con l’idea di contribuire a migliorare la società in cui viviamo.

Perché c’è stato uno scollamento con i cittadini?
Sono tante le ragioni. Una è senz’altro da ricondurre alla circostanza che non siamo stati capaci di scegliere le persone giuste per governarci. 

Siete ancora in tempo per ricucire?
Se non pensassimo di essere in tempo dovremmo tutti quanti cambiare lavoro. Secondo me sì. Lo ripeto, quello che è sotto gli occhi di tutti è avvenuto solo perché alcuni magistrati hanno deciso di dire basta. Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. 

Lei lo vede mezzo pieno?
Per deformazione caratteriale tendo a vederlo sempre mezzo pieno.

Cosa metterà in valigia se dovesse partire per Roma?
Il rapporto con certa polizia giudiziaria, quella con cui ho fatto le attività d’indagine più belle e significative in questi anni, i ringraziamenti di qualche parte offesa o parte civile, i rapporti con alcuni colleghi sia a Siracusa che qui a Catania senza i quali non avrei fatto un granché nella mia vita dal punto di vista professionale e, infine, la certezza di tornare qui dopo quattro anni e continuare a fare quello che faccio adesso.

Cosa l’ha spinta a diventare magistrato?
È avvenuto nel periodo delle stragi. Avevo circa 16 anni e ricordo bene quelle giornate  e il momento in cui ho deciso di provare a fare questo lavoro. 

Ha mai avuto paura?
Paura fisica no. Ho avuto paura che a Siracusa le cose non andassero bene. E per una fase ne ho avuta quasi la certezza. 

Si è mai sentito solo?
Ci sono stati momenti, come quello della co-assegnazione e in cui lo scontro con il vertice del mio ufficio è stato molto forte  ed in cui ho avuto la percezione che la partita potesse finire male.  

La partita però è finita bene.
Sì, la partita è finita bene.


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