Cascio: "Il vaiolo delle scimmie non sarà mai come il Covid"

Cascio: “Il vaiolo delle scimmie non sarà mai come il Covid”

I sintomi, il contagio e i rischi della patologia. Quei casi sospetti in Sicilia.
L'INTERVISTA CON ANTONIO CASCIO
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2 min di lettura

Professore Cascio, che cos’è il famigerato ‘vaiolo delle scimmie’.
“E’ una malattia che deve il suo nome al fatto che l’agente eziologico è stato isolato, per la prima, in una scimmia da laboratorio. Parliamo del 1958”.

Tempi di super-lavoro per gli infettivologi, come il professore Antonio Cascio. Dal Covid al vaiolo delle scimmie non c’è nemmeno l’occasione di prendere un caffè in santa pace. Ma le notizie a riguardo non sono drammatiche e la situazione – dice il docente universitario e primario – sembra sotto controllo. I casi sospetti in Sicilia? Del primo si è accertata la negatività, per il secondo si attende l’esito del laboratorio.

Perché ne stiamo parlando?
“Il vaiolo delle scimmie non era mai sparito, era ed è tuttora endemico in Africa. Ora ci sono casi in diverse parti del mondo ed è logico che l’attenzione dell’opinione pubblica si stia focalizzando”.

Come si trasmette?
“Anche per via aerea, dopo un colpo di tosse o uno starnuto, ma non per aerosol come il Covid, soprattutto con contatti stretti, tra una persona e un’altra. Con i rapporti sessuali, per esempio, con i fluidi corporei e con le secrezioni. Il contagio può avvenire anche con un contatto stretto con un animale portatore del virus”.

Quali sono i sintomi?
“All’inizio mal di testa, dolori muscolari, ingrossamento dei linfonodi e una profonda astenia. Poi, lesioni simili a quella della varicella: con la differenza che, in questo caso, non si tratta di vescicole, ma di pustole. E, sempre differenza della varicella, le lesioni del vaiolo appaiono tutte nello stesso stadio evolutivo. L’incubazione è di quindici ventuno giorni e i casi gravi sono rari”.

Insomma, dal punto di vista dell’impatto sociale, non è una cosa come il Covid.
“Assolutamente no! Parliamo di una patologia nota, generalmente non grave, risolvibile, che potrebbe di nuovo tornare nell’ombra. C’è solo un potenziale rischio, diciamo così”.

Quale?
“Che passi dall’uomo alla fauna europea, agli animali. In quel caso, la patologia avrebbe maggiori possibilità di diventare endemica, ma sarebbe comunque perfettamente gestibile”.

Lei pensa che si renderà necessario un vaccino?
“Penso di no, al momento. Chi ha ricevuto il vecchio vaccino del vaiolo è comunque protetto. Ma anche per gli altri mi sentirei di evitare allarmismi. Ripeto: le manifestazioni cliniche severe sono rare e la malattia è poco diffusiva”.


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